Dal 2019 collaboro come docente con la Bottega di narrazione. Il mio approccio è multidisciplinare e rizomatico: i miei corsi di scrittura creativa (o forse è più corretto dire “percorsi”) si basano su continue intersezioni fra la letteratura e le altre arti – figurative e non.
Insieme a Demetrio Paolin ho condotto nel 2019 Scritto ad arte, e insieme a Giulio Mozzi due edizioni di Immaginare le storie.
Per l’annualità 2023/24 riproporrò in veste nuova Scrivere (con) il corpo, già condotto con notevole soddisfazione nel 2022. Si terrà a distanza, via Zoom (tre ore il lunedì sera), dal 20 maggio 2024; puoi leggere il programma qui.
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Il mio approccio didattico
Dopo svariati anni di lavoro sui testi – sia miei che altrui – sono giunta alla conclusione che un serio e onesto addestramento richieda allo scrittore in fondo due sole cose: leggere e scrivere.
Leggere le opere degli altri ma anche le proprie (rileggersi e rileggersi: instancabilmente). Leggere, però, non come il lettore che lo fa per puro piacere, e neppure come il critico che scandaglia il testo per costruire un possibile ponte interpretativo fra di esso e i lettori – oltreché per parametrarlo rispetto a una propria idea di canone. Leggere per scrivere significa guardare al testo come a un insieme di soluzioni per altrettanti problemi; è un’attività che richiede doti analitiche ma anche, sospetto, una certa spregiudicatezza egoriferita.
Scrivere (e scrivere sodo) è ovviamente necessario. Lo è per fare esercizio e produrre materiale, ma anche per poter sbagliare a sufficienza. Ogni buona scrittura poggia su una incalcolabile massa detritica di fallimenti, di scarti e di sprechi. Ogni testo, a ben vedere, è un sopravvissuto.
Il mio approccio alla didattica punta a rinforzare queste due competenze perché l’allievo diventi il più autonomo possibile. Per quanto lo scrivere possa essere anche un’attività socializzante (di certo lo è la promozione del proprio lavoro: quel self branding oggi sempre più richiesto), la vera scrittura chiama in causa due soli attori: noi e il nostro testo. Richiede solitudine e un’assunzione individuale di responsabilità perché nessuno, mai, può sostituirsi alle nostre scelte; le quali sono – va ricordato – delle scelte autoriali.
Riprendendo abusivamente il primo verso e mezzo di un meraviglioso sonetto di Beppe Salvia:
A scrivere ho imparato dagli amici, ma senza di loro
(E per quanto Salvia volesse, credo, intendere tutt’altro.)